(2/continua)
Mi accorgo, con il trascorrere del tempo, che il deserto è figlio legittimo di sé stesso e non dei confini nazionali degli Stati che lo delimitano. Non c'è Libia, Algeria, Marocco, Sudan, Egitto.
Non ci sono confini nazionali negli oltre 8 milioni di chilometri quadrati che fanno del Sahara il deserto più grande della Terra. Il Sahara è la terra dei Tuareg, discendenti di popoli di altri popoli che hanno contribuito (se non fondato, la discussione maneggia animi e studi degli scienziati) a gettare le basi per la formazione della società moderna così come la viviamo oggi: con i suoi pregi e i suoi difetti.
Storie millenarie che l'Acacus svela grazie alle incisioni e alle pitture rupestri che raccontano di una terra dove prosperità e futuro erano di casa, prima della desertificazione. Ma nulla, nemmeno l'addio dell'oro blu, ha incrinato la tenacia dei Tuareg: uomini che hanno radici così profonde capaci di succhiare l'acqua come i cespugli verdi e solitari che, non di rado, tra le dune ti ricordano che la vita travalica qualsiasi difficoltà.
La jamahiriya (potere del popolo) del Colonnello Gheddafi, da queste parti, l'avverti solo perché le leggi statali prevedono condizioni sine qua non: spostamenti, pernottamenti, biglietti aerei, trasferimenti devono essere meticolosamente comunicati con una buona dose di anticipo. Approdare in questa landa liberamente è impossibile. Solo a Tripoli, mi confida Edward, la nostra guida, è immaginabile gironzolare tra i suk senza costrizioni.
Poi, più nulla. Il deserto, sarebbe sciocco il contrario, si affronta esclusivamente in compagnia di guide tuareg, mentre i gruppi...