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Recensioni

Aprile 2014 - L’odissea contemporanea dell’Ulisse da Baghdad
Rivisitando il mito omerico e riattualizzandolo con destrezza e raffinata sensibilità, Eric Emmanuel Schmitt invita il lettore a calarsi nei panni di quest’Ulisse contemporaneo che intraprende il viaggio della sua vita alla ricerca di ciò che è e dell’opportunità di un futuro migliore, per sé e per la sua famiglia.
Siamo nella Bagdad decimata dalla guerra e stremata dall’embargo americano. Il giovane Saad Saad, il cui nome emblematizza al tempo stesso la tristezza e la speranza, assiste inerme alla morte dei suoi cari: Leila, la fidanzata, che scompare sotto le macerie di un edificio bombardato; il padre, uomo saggio e amante della letteratura, che cade durante un alterco con gli occupanti americani; Salma, la nipotina, che muore a soli sei anni per una setticemia incurabile a causa dell’embargo che sta vivendo il paese.
L’Irak simboleggia ormai ai suoi occhi la tristezza per il peso dei lutti che sopporta e restarvi significa rinunciare alla chance di non dover più subire la sconfitta e la fatalità di un paese ingiusto e caotico; sceglie quindi la strada della clandestinità per raggiungere l’Inghilterra. Se l’irak è il luogo in cui ha imparato a riflettere con il padre e ad amare con Leila, l’Inghilterra rappresenta per il giovane l’Itaca fantasmagorica. E la sua epopea non ha nulla da invidiare a quella di Ulisse, con il suo lotto di peripezie e di nemici tanto implacabili quanto quelli omerici che si celano dietro l’apparenza di un mondo civilizzato: aspirante terrorista, trasportatore di oggetti d’antiquariato, gigolo di fortuna al Cairo, fidanzato in Sicilia e infine accolto in Francia dai partigiani della lotta per i sans papier, Saad combatte quotidianamente la sua guerra contro la fame, la povertà, l’umiliazione e il razzismo, accompagnato nel suo percorso interiore dalle apparizioni del padre defunto che, attraverso una serie di scambi verbali buffi e commoventi al tempo stesso, lo esorta a farsi artefice del proprio destino. Essere un Saad triste o un Saad che simboleggia la speranza nell’avvenire dipende solo da lui.
Il contrasto tra l’incanto dell’epopea e il realismo degli avvenimenti terribili permette a Schmitt di dare una lettura sfumata della tragedia del nostro Ulisse, in lotta contro un mondo di Scilla e Cariddi pronto ad azzannarlo in ogni momento, e di tutto il popolo iracheno.
Approfittando degli interstizi tra le tappe del viaggio del protagonista, l’autore introduce poi alcune riflessioni sulla condizione umana. Chi protegge l’uomo se non le istituzioni di un paese giusto? Ma esistono realmente paesi giusti? Un paese giusto ha il diritto di scegliere quali sono gli eletti che proteggerà? Secondo quali criteri? Clandestino non è di per sé una parola che rinnega tutti i valori di umanità e fraternità? E bisogna puntare il dito contro chi tenta di fuggire da un destino sordido? Le peripezie di Saad Saad permettono di rimettere in discussione le nozioni di identità, di appartenenza a una cultura, di frontiera. Le frontiere sono il bastone delle nostre identità o l’ultimo baluardo di illusione? Schmitt ha il dono di sollevare questioni rilevanti senza dare l’impressione di voler fare una lezione moralista. E a parlare sono le voci di coloro che vivono nascosti, rintanati come bestie braccate, e che in Ulisse da Bagdad trovano lo spazio per farsi sentire. Persino i morti hanno il diritto di parola…
La storia finisce ma il viaggio di Saad Saad è ancora lungo. La strada da percorrere è molta ma probabilmente Saad non è più solo…

Diana Facile
Marzo 2013
Oscar Wilde pubblica il suo romanzo “Il ritratto di Dorian Gray” nel 1890, ambientandolo nella Londra vittoriana del XIX secolo. In una sorta di faustiano patto con il diavolo, il giovane e affascinante Dorian vedrà invecchiare al suo posto il dipinto fattogli da Basil, nel quale si rispecchierà anche la decadenza della sua anima, che porterà all’epilogo dell’opera.
 
A fare da sfondo alla vita di Dorian Gray e degli altri personaggi del libro, la City che con i suoi musei non può che ricordare uno degli aforismi del romanzo di Wilde: “La vita imita l’arte molto più di quanto l’arte non imiti la vita”. La capitale del Regno Unito, infatti, accoglie la nota Tate Gallery, la National Gallery (dove sono esposti, tra gli altri, dipinti di Van Gogh, Caravaggio e Leonardo da Vinci) e il British Museum, per citare solo alcuni dei musei da visitare.
Passeggiando per la città, il Tamigi collega le principali attrazioni, partendo dal Big Ben e dall’Abbazia di Westminster fino alla Torre di Londra e al Tower Bridge. Senza dimenticare il cuore di Londra con i suoi innumerevoli parchi (come, ad esempio, Hyde Park e Regent’s Park o il vicino Greenwich Park) oppure il tradizionale cambio della guardia a Buckingham Palace, Covent Garden, il “segreto” Neal’s Yard e Notting Hill con il suo mercatino dell’usato. A proposito di shopping, Soho, Oxford Street e Camden Town sono mete indiscusse, mentre a completare l’offerta contribuiscono teatri, pub e le immancabili fish & chips!
 
Gilda Lomonte
 
Dicembre 2013 - Nel romanzo “L’inferno avrà i tuoi occhi” l’autrice Silvia Montemurro cerca di capire l’omicidio di suor Maria Laura Mainetti, avvenuto a Chiavenna nel 2000. Tre amiche, la noia di una vita sempre uguale, un sacrificio a satana. Carnefici e vittime in cui ognuno di noi potrebbe trasformarsi? Un luogo può essere responsabile?
 
A fare da sfondo alla trama del romanzo, ispirato a una storia vera, la cittadina di Chiavenna, nell’omonima valle della provincia di Sondrio, con le sue offerte culturali e naturalistiche.
Gli amanti dei monumenti possono ammirare il complesso risalente al V secolo della Collegiata di San Lorenzo, Palazzo Balbiani, la statua di San Giovanni Nepomuceno sull’omonimo ponte, il Museo del Tesoro o quello della Valchiavenna e la nota Via Dolzino.
Gli appassionati di natura, invece, il parco botanico e archeologico del “Paradiso” e Uschione, che attende gli amici della montagna al termine di un ripido sentiero.
Infine, i turisti alla ricerca di tradizioni e usanze non possono mancare alla Sagra dei Crotti (secondo fine settimana di settembre), né lasciare Chiavenna senza aver degustato bresaola e pizzoccheri, lasciandosi conquistare dalla natura dei dintorni.

Gilda Lomonte
 

Novembre 2014  - “I classici sono noiosi” pare essere ciò che molti pensano. Forse il termine “classico” dà l’idea di qualcosa di serio e datato, come appaiono le letture scolastiche obbligatorie, ma superare questi preconcetti consente di partire alla conquista di nuovi mondi e di immergersi in avventure irripetibili.

Ecco cosa significa cominciare la lettura di Moby Dick, scoprendo (ad esempio) Nantucket. È da quest’isola situata una cinquantina di km a sud di Cape Cod, nello stato del Massachusetts, che Melville fa salpare il Pequod con a bordo Ismaele (il narratore), Queequeg e il capitano Achab, tra gli altri. Riflessioni e narrazioni fanno da sfondo a Moby Dick e al destino dei personaggi: un destino legato a Nantucket, almeno quanto quest’isola lo è alle balene, come dimostra il Whaling Museum, per citare solo uno dei musei locali.

Nantucket è una nota meta turistica e di villeggiatura estiva, nonché un “distretto storico nazionale”, in virtù della presenza di strutture precedenti alla Guerra Civile, una delle più folte degli Stati Uniti. Una visita non può tralasciarela Jethro Coffin House, nota come “Oldest House” e costruita nel 1686: è l’edificio più antico dell’isola situato nella location originaria, nonché l’unica struttura sopravvissuta dell’insediamento inglese del 17° secolo.

Tra i fari dell’isola in funzione ancora oggi, spiccano Brant Point Light (risalente al 1746), Sankaty Head Light (costruito nel 1850) e Great Point Light (edificato in legno nel 1784 e distrutto e ricostruito più volte in seguito a un incendio e a una tempesta); i primi due fanno parte del registro nazionale delle località storiche.

Infine, Nantucket offre anche innumerevoli possibilità di relax tra paesaggi romantici e naturali, con spiagge affacciate su distese di acqua cristallina a fare da sfondo e sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta, che possono completare una vacanza all’insegna della cultura, immersa in una suggestiva atmosfera pregna di storia e letteratura.

Gilda Lomonte

Ottobre 2013 - Il canto delle parole perdute è l’ultimo romanzo di Andrés Pascual pubblicato in Italia, il cui senso profondo si potrebbe riassumere, parafrasando il suo stesso pensiero: una parola non detta ha più forza di mille frasi pronunciate, perché una parola pensata rimane per sempre, mentre quelle che oltrepassano il limitare delle nostre labbra finiscono per svanire nella stessa aria di cui sono fatte.

Nell’agosto del 1945, la bomba atomica trasforma Nagasaki in un inferno, cambiando per sempre la vita dei giapponesi e del mondo intero. Nel febbraio 2010, a Tokio un evento inatteso sconvolge l’esistenza di Emilian. In un parallelismo tra passato e presente, che offre un terreno comune a Oriente e Occidente, con le loro culture differenti, sono sentimenti come amore, determinazione, speranza e coraggio a trionfare sulla distruzione e sulla morte. 

Il fil rouge della storia è un haiku, un componimento poetico giapponese composto da tre versi: diciassette sillabe custodi di un significato profondo, capace di oltrepassare il tempo e lo spazio, portando il lettore alla scoperta di due città giapponesi. Prima, Nagasaki che ospita l’Hypocentre Park, al cui interno una colonna segna il punto in cui esplose la bomba atomica, il Parco della pace, la Cattedrale di Urakami, il Museo della bomba atomica e il Fukusai-ji, un tesoro architettonico poco conosciuto ma non meno affascinante!

Poi, Tokio, famosa per i Matsuri (festival shintoisti) e per grattacieli, perle architettoniche e tecnologia, affiancati da pause relax nei tipici giardini giapponesi o degustando autentico sushi. Nella capitale del Giappone, così come in tutto lo Stato, in primavera ha luogo il “fenomeno” chiamato Hanami, ovvero la tradizione di organizzare pic-nic sotto i ciliegi per ammirarne i fiori.

Alla fine del viaggio e del romanzo di Pascual, non mancheranno certo le cartoline (quale segnalibro migliore?!) e, con una giornata al Monte Fuji, ogni turista entrerà a far parte di uno degli scenari più rappresentativi del Giappone.

Gilda Lomonte

Settembre 2013 

Mongolia è il volume di racconti di Francesco Roman che, con l’entusiasmo tipico delle grande passioni, accompagna il lettore tra i colori e i profumi delle avventurose vastità di queste terre, presentando personaggi e paesaggi, corredati da incantevoli fotografie.

In queste pagine l’emozionante gioia di scoprire il nuovo danza lieve con il velato racconto di un umile osservatore che non pretende, né tanto meno desidera, offrire una chiave di lettura definitiva. Roman non spiega: è un universo lontano dal nostro a dispiegarsi davanti ai suoi occhi, senza confini. Infinito come il paesaggio della Mongolia, caratterizzato in particolar modo dalla steppa e dal deserto del Gobi, su cui aleggia il calore dell’ospitalità delle tribù nomadi (la popolazione mongola è composta da ben 20 etnie - tra cui compaiono anche i cosiddetti “uomini renna” -), ognuna con le sue tradizioni. 

Le loro accoglienti dimore, dette “gher”, sono rese speciali da riti e galateo propri. L’ingresso, ad esempio, segna il passaggio dal mondo esterno, dove regnano le misteriose forze della natura, a quello interno, caldo e protetto. Attenzione, quindi, a non calpestare lo stipite o inciampare, poiché la cattiva sorte o le presenze oscure potrebbero approfittarne per varcare la soglia oppure, al momento dell’uscita, rischiereste di portare fuori la buona sorte.

In occasione di un viaggio in Mongolia, non può mancare la visita della capitale, Ulaan Baatar, con le quattro vette che la circondano, considerate non solo sacre ma anche un autentico paradiso degli escursionisti. Senza dimenticare poi i suggestivi monasteri buddisti (Erdene Zuu, il più importante del Paese, sorge sulle rovine di Karakhorum, antica capitale dell’impero mongolo) e i parchi naturali.

Infine, a luglio ha luogo il Naadam, il più importante appuntamento nazionale istituito per celebrare l’indipendenza della Mongolia, all’insegna di “tre giochi da uomini”: lotta, tiro con l’arco e corsa a cavallo. Quest’occasione unica per scoprire il folklore mongolo è anche l’evento che rievoca le gesta di Gengis Khan, nonché la seconda olimpiade più antica del mondo, in una terra dove la storia vive ancora oggi.

Gilda Lomonte

Maggio 2013

Nel 1956, Albert Camus narra di un noto avvocato parigino che, in dialogo con il lettore, presenta la duplicità della sua esistenza. Consapevole del suo egocentrismo, acuito da un senso di superiorità globale, depone la sua maschera di virtù, abbandonando la professione per trasferirsi ad Amsterdam. Qui, il bar Mexico City diventa il suo nuovo studio, in cui cerca di redimere gli uditori: nei panni di giudice-penitente, confessa le proprie colpe, portandoli a credere di aver commesso gli stessi errori. Ed ecco che, accusando se stesso, rende colpevole l’umanità intera.

A fare da sfondo a questo personaggio assurdo, condizione attribuita da Camus all’essere umano, la capitale dell’Olanda, con il suo palazzo reale, la famosa piazza Dam e gli ancor più noti canali. In un dedalo di ponti, stradine e case riflesse sull’acqua, pochi giorni sono sufficienti per visitare il Museo Van Gogh, il Rijksmuseum, la casa di Anna Frank, Chinatown con i suoi ristoranti etnici, il quartiere a luci rosse con la sua offerta di “vetrine” e coffeeshop, l’incantevole mercato dei fiori e i parchi in cui concedersi una pausa di relax dalle bici che sfrecciano tra la folla.

Come l’autore scrive ne La caduta: “Questo paese mi ispira. Amo questa gente che formicola sui marciapiedi, costretta in un piccolo spazio di case ed acqua, assediata da nebbie, da terre fredde e da un mare che fuma come un bucato. Mi piace perché è duplice. Sta qui e altrove”.

E a proposito di “altrove”, con qualche giorno di tempo in più è possibile partire alla scoperta di Haarlem (a 15 minuti in treno da Amsterdam), recarsi al Keukenhof per una passeggiata nei campi di tulipani o fare un viaggio nel tempo tra i mulini di Zaanse Schans.

Siete pronti a partire e a innamorarvi di Amsterdam?
Perché come dice Camus in questo libro: “Il vero amore è eccezionale, due o tre volte in un secolo all’incirca. Per il resto, vanità o noia”.

Gilda Lomonte

Aprile 2013
Torino, città magica - “La tradizione esoterica più antica vuole Torino inserita in un triangolo della magia che ha gli altri vertici in Praga e Lione. Questo per quanto concerne la magia ‘bianca’ cioè benefica. Ben altro triangolo vede Torino come una delle basi d’appoggio, ed è quello del satanismo i cui lati, salendo verso Nord toccano Londra e, prolungandosi oltre l’Atlantico si congiungono a San Francisco negli Stati Uniti”... questo è il duplice volto di Torino che, però, ha anche due cuori: uno bianco e uno nero (senza riferimento alcuno alla Juventus). Due cuori magici che battono in diverse zone della città: intorno a Piazza Castello, il primo, e a Piazza Statuto, il secondo, come rivela Giuditta Dembech.

Sotto l’affascinante alone magico che aleggia su quella conosciuta da molti come “la città della Fiat”, svettano al cielo edifici storici, tra cui Palazzo Madama, Palazzo Reale, il Teatro Regio, il Carignano, la Mole Antonelliana (custode del Museo del Cinema), il Museo Egizio (secondo per importanza solo a quello de Il Cairo), la Chiesa della Gran Madre di Dio, il Duomo con la Sindone, le Porte Palatine, Piazza San Carlo, i portici e il Castello del Valentino. La rigogliosa collina affacciata sul Po, oltre a ospitare la Villa della regina, il Monte dei Cappuccini e la Basilica di Superga (opera di Filippo Juvarra), nei cui sotterranei sono collocate le tombe dei Savoia e dal cui piazzale di notte è possibile ammirare la città illuminata e riflessa nei fiumi, non è l’unico polmone verde di Torino. Numerosi parchi s’estendono nel e intorno al capoluogo piemontese, come il Parco del Valentino con il borgo medievale o il Parco della Mandria, senza dimenticare la residenza sabauda della Reggia di Venaria con i sui magnifici giardini, la Palazzina di caccia di Stupinigi (anch’essa opera di Juvarra) con il parco naturale o il Castello di Racconigi con il parco reale, eletto “Il parco più bello d’Italia 2010”.

Tra gli scorci suggestivi, il Po visto da Piazza Vittorio con la Gran Madre, il Monte dei Cappuccini e una sequenza di ponti che si riflettono nelle sue acque, costeggiate dai Murazzi. Per un po’ di shopping, invece, via Po, via Roma, via Lagrange e dintorni.

Ma Torino non è solo la città delle guide turistiche, perdersi nelle viuzze intorno a Via Garibaldi, Quadrilatero Romano compreso con i suoi ristoranti, locali ed enoteche, ad esempio, apre le porte di un’altra epoca. Tempi antichi e moderni creano un connubio in cui trova spazio una casa con il piercing accanto a edifici che esibiscono fieri e monitori le tracce di antichi bombardamenti. Anche questa è magia...

Gilda Lomonte

Aprile 2013
L’ombra del vento” sembra essere il titolo di questo marzo pazzerello e non solo del primo romanzo di Carlos Ruiz Zafón, che rapisce subito il lettore con queste parole: “Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere il Cimitero dei Libri Dimenticati. Erano i primi giorni dell'estate del 1945 e noi passeggiavamo per le strade di una Barcellona intrappolata sotto cieli di cenere e un sole vaporoso che si spandeva sulla Rambla de Santa Monica in una ghirlanda di rame liquido”.

Nel 2001, l’autore presenta una Barcellona colorata di mistero, illuminata dalla luce che si riflette nella pioggia e da un cielo grigio che getta ombre su strade che sembrano schiudere un mondo tanto invisibile e sconosciuto quanto reale. In quest’atmosfera, sorprendente per tutti coloro che immaginano il capoluogo della Catalogna come meta per un fine settimana di sole, si svolgono le vicende de “L’ombra del vento”, del suo narratore Daniel e di un libro da salvare dall’oblio, che gli apre le porte di un mondo di segreti ed enigmi. Sullo sfondo di una città decadente, marcata dalla guerra civile e dal franchismo, amore, morte, amicizia, lealtà e follia creano un magico intreccio che unisce la vita del protagonista allo spirito eterno del romanzo che ha scelto di adottare.

I passi di Daniel per le vie della città sono un richiamo irresistibile, che invita a perdersi tra le mura di case e palazzi, per carpire l’anima di una Barcellona sconosciuta ai più, che solo un cielo cupo può rendere accessibile…

Gilda Lomonte

Marzo 2013
Se per molti la Cina è un insieme di luoghi comuni e spesso negativi, come ad esempio il “pericolo giallo”, per Luisa Chelotti è il regno delle “Peregrinazioni sublimi nel paese dei mille imperi”, come dice il sottotitolo del suo libro.

Siti archeologici, popolazioni e paesaggi caratterizzano “Cina”, un’opera che parla di un Paese fatto di cultura antica e tradizioni, focalizzandosi su tutto ciò che ha contribuito a creare il mito della Cina Imperiale, mentre modernità e grandi città vengono presentate più marginalmente. La Cina classica, la Via della seta e la Grande muraglia compaiono tra gli undici itinerari, proposti da Luisa Chelotti, che trovano modo di esprimersi in maniera particolarmente suggestiva nell’appendice fotografica.

L’elenco delle attrazioni e località cinesi da visitare potrebbe continuare, ad esempio, con l’Esercito di terracotta, Pechino con la sua Città proibita, Shanghai o Guilin, la meta preferita dagli amanti della natura. Ma prima di arrivare, è necessario partire ed essenziale farlo senza pregiudizi, seguendo l’esemplare modello dall’autrice. La sua curiosità intellettuale e l’amore per il popolo e la storia cinesi sono, infatti, il fil rouge dei passi mossi lungo questi percorsi conosciuti personalmente, con il desiderio di arricchirsi spiritualmente, viaggiando e confrontandosi con l’altro.

Il mondo è aperto a tutti e ognuno di noi dovrebbe essere aperto al mondo.

Gilda Lomonte

Febbraio 2013 - Ha già più di qualche anno sulle spalle il primo romanzo di Enrico Brizzi, che tra citazioni musicali e letterarie, parla di adolescenza, amore e ribellione per fare “un salto fuori dal cerchio che ci hanno disegnato intorno”, sullo sfondo di una Bologna borghese e anarchica.

Nell’incipit di "Jack Frusciante è uscito dal gruppo" si legge “presto sarebbe volato via pure quello stupido febbraio”, un riferimento temporale che lo lega indissolubilmente al mese in corso, noto anche per un giorno in particolare, quel San Valentino tanto atteso o temuto che difficilmente passa inosservato. Dai colli al centro, il “vecchio Alex” sfreccia sulla sua bicicletta, riflettendo sulla vita e sulla necessità di esserne i protagonisti, decidendo per se stessi. In sua compagnia, i lettori si aggirano tra le piazze e i portici di Bologna, nota in ogni dove proprio come “la città dei portici”, con il desiderio di scoprirli davvero, di passeggiare tra quelle vie che sono lo scenario del viaggio più importante di ogni uomo, quello dall’adolescenza all’età adulta.

E, a proposito di passaggio, Bologna sorge in una posizione ideale, a poca distanza da Ferrara e da Ravenna, così come dalla rinomata e assolata Riviera Adriatica con il Lido degli Estensi, il delta del Po e la piccola ma suggestiva cittadina di Comacchio, chiamata “la piccola Venezia”.

Con le canzoni del “vecchio Alex”, pensando ad amori passati, presenti e magari anche futuri, partire alla scoperta di queste località sarà un viaggio romantico, perché, come dice Enrico Brizzi nel suo romanzo: “Nessun posto è lontano. Se desiderate essere accanto a qualcuno che amate forse non ci siete già?”.

Gilda Lomonte

Gennaio 2013 - L’intento di James Joyce in questo libro era quello di presentare al mondo Dublino, la sua città, tramite la caratterizzazione della società che l’abitava, la “Gente di Dublino” appunto.

Il mosaico dei quindici racconti che compongono questa raccolta, raffigura l’intera parabola della vita umana, attraverso ognuna delle sue tappe: infanzia, adolescenza e maturità, seguite dalla vita pubblica e dalla morte, cui fa da sfondo la capitale della Repubblica d’Irlanda del primo decennio del 1900.Quindici storie di vita quotidiana, dunque, accomunate da tue tematiche: la paralisi e la fuga dalla propria condizione, dovuta alla religione e alla politica dell’epoca e votata al fallimento.

Se, da una parte, la raccolta presenta il declino dei valori morali, dall’altra, fa nascere nel lettore il desiderio di avvicinarsi a questo mondo e di incontrare la sua gente, forse per paragonarla ai personaggi o magari per un confronto diretto tra viaggiatori e irlandesi. Perché è così che Dublino vi farà sentire: viaggiatori e irlandesi nel contempo, né turisti, né stranieri. “Non esistono estranei, solo amici che dobbiamo ancora conoscere” dichiara, infatti, una targa sulla facciata di un locale di Temple Bar, uno dei quartieri della capitale dove potrete respirare l’aria della città, accolti dalla cordialità di chi la vive e la ama, giorno dopo giorno.

Gilda Lomonte

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